giovedì 5 dicembre 2013

Il mio pensiero sulla pettorina






Questo articolo è stato momentaneamente oscurato


Claudio







PS: per capire questo hastag ci vuole cultura






...intanto impara a metterlo dritto, e non come nella foto...


venerdì 22 novembre 2013

Recupero comportamentale "Tibu"


Anche la storia di questo dogo argentino è comune a quella di tante altre, ma si può leggere più facilmente attraverso questo Link


Approfittando di una formazione che feci in Sicilia per i nuovi operatori di "Cani Tutor" decisi di andarlo a vedere in quel di Avola (Siracusa); anche per farmi un'idea più precisa sull'attacco che aveva sferrato ad una volontaria del canile che lo ospitava.








Si chiamava "Raul" - un nome con il quale avevo già avevo avuto a che fare in passato - e per lui era stata disposta l'eutanasia per "accertata pericolosità".
In accordo con il canile sanitario, con i medici veterinari e con l'Associazione che gestisce le adozioni, venne quindi chiesta dai volontari una proroga per tentare un recupero comportamentale a pochi giorni dalla data della sua morte.
Accettai l'invito ed il cane dopo un po' di tempo prese la strada per le Marche ed affrontare il lavoro di recupero.
Per motivi di sicurezza, il cane arrivò sedato e posto all'interno di un trasportino, il quale - a sua volta - era inserito all'interno di un'ulteriore gabbia.








Quando mi avvicinai per dargli il benvenuto, lui rispose così:





<<Poco male>> pensai tra me <<Ormai arriva di tutto... e tu non sarai certo l'ultimo>> iniziando a lavorarci sopra 24 ore dopo.

Decisi subito di cambiargli nome: lo chiamai "Tibu" - in onore al brigante maremmano "Tiburzi".
La prima cosa che andava fatta - come sempre - era spogliarlo; metterlo cioè di fronte a diversi stimoli per osservarne le reazioni.




Dopo aver fatto ciò, ed averlo messo in sicurezza ("mettere in sicurezza" significa lavorare in un modo tale che la risposta agli stimoli da parte del cane non sia di tipo aggressivo) iniziai il lavoro di fidelizzazione.





Ottenuto questo, cominciai con il lavoro in libertà; percorso in cui il cane inizia a familiarizzare con l'ambiente in modo autonomo, approcciandosi al contempo all'educazione di base.





"Tibu", dopo i vari test, non si dimostrò affatto socievole con i suoi conspecifici, ma ancora una volta furono i "Cani Tutor" a porre rimedio a questo problema.

Questo è il risultato ottenuto a fine lavoro.
Nel filmato "Tibu" si relaziona con un soggetto maschio a lui completamente sconosciuto.









Il lavoro è finito, e "Tibu" è pronto per la sua nuova vita.

Eccolo nella sua nuova famiglia e nella sua nuova casa






...ed eccolo a distanza di qualche mese







Un recupero comportamentale ha senso, e si può definire tale, solo quando il cane paziente può essere adottato da chiunque e non esclusivamente da un cinofilo esperto, come purtroppo spesso accade.
Questa particolare branca della cinofilia - oggi troppo inflazionata quanto intesa in modo semplicistico - necessita di un lungo periodo di apprendistato, molta esperienza e competenze specifiche.
Pensare di "ottenere il diploma" in una qualunque scuola cinofila e cominciare ad occuparsi di cani problematici, è il primo grande errore le cui conseguenze vengono inevitabilmente pagate dai cani stessi.



Buona vita Tibu da tutti noi!!!

mercoledì 20 novembre 2013

Recupero comportamentale “Marlon”


"Marlon" è un giovane dobermann che ha visto ben sette educatori/istruttori cinofili prima di arrivare a me, ottenendo questo risultato:



(figurante: Giorgia Stilo)



Il cane mostrava evidente aggressività interspecifica e durante i test venne fuori anche qualche problema sul fronte intraspecifico.

Lo conobbi ad un seminario vicino a Verona, occasione nella quale si presentò assestandomi un vigoroso morso alle spalle.
Marlon non ci mise molto a ripetersi alcuni giorni dopo durante i primi tentativi di approccio perforandomi un piede da parte a parte.
Poco male: chi fa questo mestiere – sul campo, e non online – mette in conto questi episodi ed è abituato a vederli come una costante della propria quotidianità.

Nonostante il cane fosse passato da vari tipi di approccio – da quello gentilista a quello “classico” – l’ingestibilità era ormai arrivata ad un punto tale che nemmeno il veterinario poteva avvicinarsi per una semplice visita.
Da qui, la necessità di cominciare un percorso mirato nel quale si sono distinti – come sempre -  i miei formidabili “Cani Tutor” e l’etologia applicata.
Il lavoro di recupero è durato meno di un mese, ed il cane – con appropriate e specifiche tecniche – ha dimostrato una progressiva collaborazione, fino a diventare uno dei miei migliori ospiti.


Di seguito alcuni filmati relativi ai primi periodi di lavoro













Dal punto di vista intraspecifico, Marlon si mostrava piuttosto invadente negli approcci con i conspecifici e – a causa della sua insicurezza dovuta alla scarsa socializzazione – finiva con il mordere qualunque cane (maschi, femmine e cuccioli) incontrasse.
Come prescrive il meccanismo dei “Cani Tutor”, si comincia quindi con il “cold reading” (lettura a freddo – vedi libro “I cani tutor” – edizioni Altea - Roma), attraverso un area dedicata chiamata “reading gate”.

E’ una struttura simile al box, ma posta indoor, nella quale il cane paziente staziona per uno/due giorni e si limita ad osservare (e ad essere osservato) i cani tutor che si prenderanno cura di lui.
I cani tutor vengono inviati a conoscere il cane paziente attraverso una sequenza precisa e guidata (non casuale) tenendo presente i loro vari status sociali (vedi libro per le sequenze di invio sullo stimolo).

In questo filmato viene mostrato l’invio di un cane "balia" (femmina - pastore belga malinois), di un cane "beta" (femmina - staffordshire bull terrier) e di un cane "omega" (maschio - american shepperd mix - maschio).
Il cane "omega" viene invitato a mantenere la posizione per la "cold reading" dell'operatore cinotecnico.

NB: I comandi di invio e ritorno degli altri cani tutor sono guidati con il corpo da parte dell'operatore cinotecnico - e non con la voce - per limitare al massimo le possibili alterazioni sul fronte della comunicazione intraspecifica.





Il lavoro è stato quindi spostato sul fronte outdoor, dove Marlon comincia a prendere confidenza – in modo guidato - con i vari stimoli, con gli “effluvi” ed i “coni d’odore” dei cani tutor, e con tutti gli step del meccanismo (i “sette periodi”).
Partendo dalla definizione del “punto d’innesco”, fino all’attraversamento delle varie figure che lo compongono, si arriva ad un momento in cui nel meccanismo si  cerca di creare “l’accredito” con un singolo cane tutor; generalmente un “omega” o un “balia”.
La scelta tiene conto della soggettività riferita al cane paziente e del problema specifico.
In questo caso è stata scelta la femmina “balia” a causa dei numerosi deficit intraspecifici di cui soffriva Marlon.
L’accredito serve per il passo successivo: “la mediazione intraspecifica” con un altro conspecifico che solo il cane tutor conosce (nel caso specifico un maschio "alpha")

Il risultato è quello che si evince in questo breve filmato




Dopo questo passo, vengono inseriti i proprietari del cane paziente nel "drive di lavoro" (il lavoro di mediazione del cane tutor assume pertanto valori e caratteristiche molto più articolate)


Cani tutor: "Eugenio" (maschio alpha) e "Kissing Fine" (femmina balia)


NB: il ruolo del “mediatore” - ed il lavoro che questi svolge - non ha nulla a che vedere con lo “splittare” (dall’inglese “split”=“dividere”). Si noti infatti la connotazione della mediazione stessa, la quale è esente da ogni forma di violenza o divisione interpretata nella peggiore accezione del termine.
I cani, semmai (soprattutto alcuni status sociali ben definiti), splittano in modo autonomo e naturale, ma secondo il meccanismo dei cani tutor - se questo dovesse accadere - verrebbe ritenuto un fallimento, dal momento che la sicurezza dei cani (pazienti e tutor) viene messa al primo posto nella scala dei valori (nda).


Marlon viene quindi accreditato su un “intermedio” proveniente da un altro branco per verificare quanto il cane “balia” gli abbia trasmesso e la capacità personale di fare quindi riferimento alle proprie risorse endogene (cognitive).

NB: si noti nel finale del video lo "scambio delle basi", uno dei punti cardine che vengono guidati nel meccanismo cani tutor, il quale è ormai completamente ripristinato in Marlon (autonomamente).







Dopo l’ottenimento di questo risultato, viene messo nuovamente in atto il meccanismo dei cani tutor (effluvi e coni d’odore - vedi illustrazione)



(illustrazione di Marco Latella © - "I cani tutor" - edizioni Altea)



Parteciperanno al meccanismo - uno alla volta - i singoli elementi di un intero branco stabile sconosciuto a Marlon, con il conseguente inserimento di altre due figure sociali: “beta” e “omega”.
A mediare la socioreferenza il soggetto “intermedio” ed il soggetto “alpha” con cui Marlon si era già confrontato.

La presenza dei proprietari è a questo punto fondamentale e continua fino alla fine del percorso.





A questo punto Marlon viene messo di fronte ad altri due soggetti maschi (e a conduttori sconosciuti) che hanno appena finito il recupero comportamentale con lo stesso meccanismo (in questo caso, cane corso e alaskan malamute) per le verifiche di rito che simulino la quotidianità che lo attende una volta tornato a casa.


lunedì 18 novembre 2013

Tutta un’altra “Vita”

La storia di “Vita” assomiglia per certi versi a quella di tante altre che passano sul web.
Una foto su facebook dove si vede questa femmina adulta di setter inglese pressoché irriconoscibile dal peso di 6 Kg, e una marea di cuoricini e di commenti rigorosamente al condizionale sotto la didascalia.

<<Vi prego aiutatela!!!>> 

(questa era l’head line generale)





La condivisi immediatamente sulla mia pagina perché – tra l’altro - mi stavo confrontando con alcuni colleghi sul concetto di “istinto predatorio”: quel retaggio filogenetico che i cani hanno ereditato dal lupo, ma che l’uomo ha accuratamente interrotto nelle sue varie sequenze attraverso l’opera di selezione del cane.
Qualcuno sosteneva che il cane fosse un predatore – alcuni lo accostavano addirittura al lupo – ed io, attraverso la foto di “Vita” mi misi a controargomentare con l’evidenza dei fatti.






A prescindere da questo, alzai il telefono rendendomi subito disponibile per l’adozione o per una qualunque cosa dovesse occorrere, venendo così in contatto con Fabiana Rosa di “Progetto Quasi”, la quale mi disse molto chiaramente che c’era stata una sola richiesta ufficiale che peraltro doveva essere valutata.
<<Ma come?>> – mi chiesi – <<Migliaia di “mi piace”, centinaia di post ed una sola persona che voleva questa cagnetta sfortunata? Sarebbe questo l’amore per i cani? Dov’è l’azione?>>

In verità gli italiani si dimostrarono – come sempre – particolarmente sensibili alla storia di “Vita” e mandarono all’Associazione che se ne stava occupando molti contributi per rimetterla in sesto; ognuno per quanto fosse nelle sue possibilità.
Un cane conciato in quello stato è, nella maggior parte dei casi, un soggetto con molti problemi di carattere comportamentale, ed ero pienamente cosciente che l’adozione di “Vita” sarebbe stata impegnativa sul lungo termine.
Andai a prenderla a Roma con il mio “Eugenio” (adottato a suo tempo da un canile salentino) e le mie preoccupazioni si dimostrarono fondate: “Vita” era un soggetto fobico e pieno di deprivazioni; probabilmente cresciuta dentro un serraglio per tre anni (questa era l’età apparente).






Le ragazze di “Progetto Quasi” ed i veterinari interpellati avevano già fatto un grande miracolo restituendole le forze e curandola sul fronte clinico, mentre a me – adesso – spettava il compito forse più impegnativo: farle conoscere il mondo e tentare un percorso molto articolato che le insegnasse a gestire le fobie e le paure.
Mentre tornavo a casa cercando di riordinare le idee, mi tornò in mente un post in cui c’era scritto <<Mi auguro che questo cane, così sfortunato, vada ad una famiglia e non ad un addestratore>>.

Mantenni a stento quell’apparente senso di autocontrollo che mi permise di non mandare a quel Paese la perla che racchiudeva un luogo comune creato ad hoc dal moderno marketing cinofilo, cercando di
immaginare al contempo una serie di strategie per far venire fuori “Vita” dai suoi impasse.
Trovavo profondamente ingiusto – quanto deplorevole - che un essere umano avesse potuto ridurre un cane in quello stato, ma se mi fossi fermato alla pena, “Vita” non avrebbe mai più vissuto un’esistenza dignitosa come invece meritava. Per casi come questi ci vogliono competenze, esperienza ed infinita pazienza. L’amore non basta.
Pensai <<Ci sono nato tra i setter ed i pastori maremmani; è pane per i miei denti>> e proprio in quella riflessione la mente tornò a quel tempo in cui i cani facevano ancora i cani, con i loro punti di forza, la loro maestria e l’impareggiabile competenza che gli era propria (nel caso dei setter, la caccia).

I tempi sono cambiati, ma i cani sono rimasti quelli di un tempo”: è un fatto con cui anche il più incallito dei Cinofilosofi deve necessariamente fare i conti prima o poi, e fu proprio da questa considerazione che sono partito per il recupero comportamentale.

Una volta arrivata a casa – grazie alla mediazione di “Eugenio” (cane alpha) – la presentai al mio gruppetto di “Cani Tutor”, i quali la accolsero come solo dei grandi ausiliari sanno fare.









La lasciarono ambientare per qualche giorno lasciandola successivamente adottare da “Malena”, una femmina adulta di pastore belga malinois.
“Malena” è quello che io definisco un “cane filtro”, cioè un soggetto in grado di interagire con il conspecifico attraverso un modo molto particolare e discreto dandogli – in sostanza – il libero arbitrio in merito all’interazione: la capacità di aspettare che fosse proprio “Vita” a cercare il confronto.
“Vita” ci mise circa una settimana per capire che la mia famiglia poteva anche andargli a genio. Il suo vissuto era piuttosto evidente, ma il suo lato caratteriale di certo non aiutava.
Decisi quindi di affidarla alle cure della lupa “Elka”, usando “Eugenio” e “Malena” come moderatori, e la scelta si rivelò vincente.




“Elka” le fece esplorare il mondo esterno con quell’esperienza e quel tocco di spavalderia che la contraddistingue, e la setterina non ci mise molto a seguirla nelle sue esplorazioni con un evidente "senso di Fede".



Il suo spettro emotivo nei confronti degli stimoli cominciò a rimodularsi di giorno in giorno, andando di pari passo con l’allargamento del lavoro in outdoor: e le macchine, i camion, i ciclisti, io stesso ed i miei collaboratori non eravamo più una minaccia o qualcosa da dover tenere a debita distanza, ma un’opportunità tra le tante; seppure ancora con qualche lecita riserva.



Affinché io diventassi una vera e propria “opportunità” avrei dovuto fare qualcosa di così straordinario per lei che mi permettesse di meritare un’attenzione diversa e del tutto speciale.

Un bel giorno dovetti andare a verificare una fototrappola sui Monti Sibillini e, passando da un bar di montagna per il solito caffè delle 11.00 mi fermai a fare quattro chiacchiere con dei cacciatori che stavano parlando del più o del meno.
Da loro mi feci dare l’indirizzo di un quagliodromo e acquistai alcune starne per poter tirare fuori da “Vita” il setter che era ancora dentro di lei.
Non era la prima volta che usavo le motivazioni di razza in ambito comportamentale, ma vedere questa setterina tutta impegnata nello cerca, nello scovo, fino al frullo, fu una di quelle esperienze che ti rimangono profondamente addosso.
Capii subito che uno dei probabili motivi per cui “Vita” era stata abbandonata nasceva dalla sua paura per gli spari, ma non essendo io un cacciatore, né usando alcuna arma, la cagnetta si rese immediatamente conto che in me aveva trovato un punto di equilibrio tra il suo modo di essere (genetico), le sue paure ed il mio mondo.





Per evitargli le frustrazioni derivanti dalla mancata uccisione della preda – e conseguente riporto – feci quindi uno zimbello con delle piume di starna lanciandolo nella stessa direzione della frullata, evitando pertanto di uccidere un volatile e lodandola quando me lo riportava.
D’altra parte il mio obbiettivo non era certo quello di utilizzarla come cane da caccia, ma semplicemente di ripristinare il suo lato canino più vero ed autentico.
Questi esercizi durarono circa una quindicina di giorni, periodo in cui cercavo di cambiare puntualmente gli areali di caccia affinché la cagnetta non contestualizzasse eccessivamente il lavoro, ma imparasse a muoversi in aree sempre diverse e di fronte a stimoli sempre diversi, lavorando quindi anche sulle basi (richiamo, riporto, etc.).
Era piuttosto palese che non avesse molta esperienza come cacciatrice, ma a questo limite pose rimedio la mia adorata “Elka”, la quale gli insegnò modalità davvero particolari e a tratti uniche nel suo genere.

Il percorso di recupero comportamentale venne dichiarato “finito” nel momento in cui “Vita”, di sua spontanea volontà, cominciò a cercare il contatto con gli estranei senza alcun problema.

Un avvenimento che non ho mai festeggiato, ma che rimarrà per sempre impresso nei nostri cuori.