martedì 23 maggio 2017

Occidentali's Karma

Una mattina 
trovai nella cassetta della posta 
questa lettera anonima.
La condivido con voi


Claudio 






Un tizio vide una cosa, ebbe un’intuizione e cominciò a lavorarci su.
Voleva capire se quell'idea avesse fondamenta valide e applicazioni possibili.
Studiò una vita. Provò, riprovò; investendo energie, tempo, soldi. Tanti soldi.
Ci passò un'esistenza intera per quell’ideale, e cominciò a vedere dei risultati che lo obbligarono ad approfondire, a perfezionare, ad elaborare, senza capire che agli altri - della sua vita - non importava nulla.



Dopo tanti anni e prove, le sue conclusioni arrivarono tra i ricercatori e gli uomini di scienza, scoprendo che non solo aveva visto giusto e salvato molte vite, ma di aver aperto una strada mai percorsa fino ad allora.



Chi lo osservava in silenzio non gli diede del folle, ma lo percepì come un pericolo: una mina pronta ad esplodere in un sistema ormai ben oleato, fatto di interessi già destinati e spartiti.

Figure losche che si prestavano al sistema, dal quale traevano sostentamento e fama, dissero che quello era un tipo strano, un tipo dal quale stare alla larga. E lo fecero perché pensarono di poterlo isolare. Dal silenzio, in fondo, nessuna voce.



Lui se ne fregò. Il suo interesse non era il loro. 
Dove altri avevano visto soldi e gloria, lui aveva visto una via da raccontare a tutti, affinché potesse un giorno essere percorsa ed esplorata più a fondo.

Morì solo con i suoi segreti a 1.800 metri di altitudine, in una capanna che si era costruito con le sue mani, nella terra che aveva scelto.


La strada non fu mai ritrovata, ma solo tracce di un sentiero che si interrompevano qua e là; enigmatiche abbastanza per essere dimenticate in fretta.
Chi la cercò molti anni dopo, colto dalla stessa intuizione, venne tacciato di esoterismo e messo alla berlina.

Con la benedizione del popolo, gli interessi tornarono quindi al loro posto e nelle loro ripartizioni.


Occidentali's Karma

giovedì 2 febbraio 2017

Siccome non possiamo uccidere i lupi, allora uccidiamo “Balto"




<<Siccome non possiamo uccidere i lupi, allora uccidiamo “Balto” – L’importante è uccidere un simbolo per dare il contentino a qualcuno>>.


Tutti noi teniamo alla purezza del lupo e al mantenimento del suo DNA, ma dobbiamo ricordarci che i fenomeni di ibridazione sono sempre esistiti, e continueranno ad esistere in proporzione alla crescita della specie selvatica e – soprattutto - alla mancata custodia dei cani (vaganti, randagi, da caccia, di famiglia).


(ibrido cane-lupo catturato a Stribugliano - provincia di Grosseto)


Seppure l’ibridazione s
ia un problema che vada in qualche modo affrontato, bisogna anche considerare che essa non rappresenta, almeno sotto il profilo numerico, un aspetto così significativo.
Volendo “spaccare il capello in quattro”, ancor più precisamente, va detto che non si sa nulla della reale ibridazione antropogenica tra lupo e cane dopo quasi cinquant’anni di ricerche e milioni di euro spesi per progetti comunitari.



(ibrido cane-lupo catturato in Molise)



In prima istanza, quindi, il problema andrebbe ridimensionato e visto con occhi più oggettivi, cominciando a fare luce su alcuni progetti per i quali sono andati via fiumi di denaro pubblico e che non hanno dato alcuna risposta o risultato convincente.
Successivamente, sempre in materia di “ibridi”, chiediamo a chi di dovere che fine abbiano fatto gli ibridi di lupo catturati in Maremma e del quale non si è più saputo nulla, a parte il fatto che alcuni di loro siano morti dopo la cattura.
Motivo del decesso? Circostanze? Erano in custodia a chi? Stiamo parlando di cuccioli.

Oggi pomeriggio sapremo il destino del lupo in Italia (almeno sotto il profilo formale ed Istituzionale), ma alcuni ricercatori attaccati ai carrozzoni politici stanno già spostando la questione sugli ibridi di lupo facendola passare per un’emergenza nazionale.

Spiace notare, però, che al momento non siano contemplate:
- inasprimento delle sanzioni per il bracconaggio (che alla fine resta impunito e si traduce in una sanzione amministrativa – multa - in caso di condanna…e dopo anni),
- una legislazione seria e soprattutto chiara in materia di ibridi (dove devono finire una volta catturati; perché levatevi dalla testa che debbano essere abbattuti).


02.02.2017
Claudio Mangini
Lega Italiana Diritti dell’Animale (L.I.D.A.)
WolfEmergency

mercoledì 1 febbraio 2017

Piano di conservazione e gestione del lupo in Italia – riflessioni e nostra posizione



Claudio Mangini

- Lega Italiana Diritti dell’Animale (L.I.D.A.)
- WolfEmergency


Oggetto: “Piano di conservazione e gestione del lupo in Italia” – riflessioni e nostra posizione.


Documento 1

(fonte)


- Che il “Piano di conservazione e gestione del lupo in Italia” sia pieno di falle e stilato in maniera piuttosto superficiale, è un fatto.

Molti organi Istituzionali dicono “no” davanti all’inevitabile – e prevedibile - protesta dell’opinione pubblica, seppure il documento sia il frutto di un lavoro fatto a più mani da professionisti del settore  che vengono definiti “esperti”.
Nel vortice delle polemiche – più “di pancia” che riferite ai contenuti - nessuno ha sottolineato la totale inaffidabilità del documento stesso in materia di cani.

Nella nostra azione di contrasto e di forte dissenso nei confronti del documento, abbiamo pertanto  deciso di spostare l’attenzione proprio sul terreno dei contenuti, individuando velocemente una serie di criticità che non potrebbe permettersi nemmeno il neofita ai primi giorni di un qualunque corso per educatori cinofili.
Riteniamo che se questa è la cultura cinofila espressa da sedicenti esperti, dai quali dipende peraltro la vita e la morte di animali appartenenti ad un specie rigidamente protetta da oltre quarant’anni, per effetto di una proiezione realistica, siamo molto scettici sull’affidabilità dei contenuti riferiti al lupo.

Ecco uno stralcio


III.2. Azioni per prevenire la presenza di cani vaganti e l'ibridazione lupocane (pagina 29 del documento).


Azione 2.4: Controllo della diffusione e gestione delle razze canine ibridogenetiche.

Nelle ultime decadi, è aumentata in Italia la diffusione di ibridi cane-lupo e razze canine derivate da simili incroci. Alcune di queste razze hanno anche ottenuto riconoscimento formale dalle organizzazioni preposte (es. ENCI) e sono sempre più popolari, come ad esempio il cane lupo cecoslovacco e il cane lupo di Saarloos. In molti Paesi, queste razze sono vietate al commercio e detenzione, ma in Italia manca una specifica regolamentazione. La necessità di riportare questo fenomeno sotto controllo risiede nei casi molto frequenti di ibridi non controllati che sfuggono all’ambiente domestico e sono causa di danni al bestiame e ibridazione con il lupo. 

Priorità: alta
Tempi: entro 24 mesi dall’adozione del piano
Responsabili: Min. Salute, MATTM, MIPAAF
Programma: emanazione di nuove regole e norme per la detenzione e il commercio delle razze ibridogenetiche, anche valutando la loro messa al bando come animali da compagnia.
Programma di informazione sulla pericolosità potenziale e reale di queste razze.

Legenda:

- MATTM (Ministero dell’Ambiente e della Tutela del Territorio e del Mare)
- MIPAAF (Ministero delle Politiche Agrarie, Alimentari e Forestali)
  



 (Cane Lupo Cecoslovacco - foto dal web)


(Cane Lupo di Saarloos - foto dal web)



Ho sempre espresso la mia opinione in merito ai cosiddetti “amanti dei lupi”, dipingendone la maggior parte come veri e propri nemici del lupo; a partire da alcuni ricercatori, fino a molti  proprietari delle razze qui indicate che - sotto il profilo dell’informazione - hanno fatto nel tempo più danni del documento in oggetto.
Come da tradizione, anche questa volta nessun proprietario, Club, allevatore o specialista di razza, è intervenuto sulla questione “Cane Lupo Cecoslovacco” o “Cane Lupo di Saarloos”; razze di cani che nel Piano Lupo vengono descritte in modo completamente sbagliato, se non ridicolo.
Per inciso, non è assolutamente vero che <<…in molti Paesi, queste razze sono vietate al commercio e detenzione…>>, esattamente come non ha alcun fondamento il fatto che << …in Italia manchi una specifica regolamentazione>>.
Sono cani, peraltro di razze iscritte ENCI/FCI, e come tali seguono la regolamentazione di ogni altra razza.
Ci sono allevamenti con affisso in tutto il mondo di questi magnifici cani; soprattutto in Europa (Italia compresa), e diversi soggetti che si distinguono costantemente in Protezione Civile ed in altre discipline di utilità sociale.
A parte la Norvegia, Patria di una cinofilia che non ha niente da insegnare a nessuno, chiedo a questi “esperti” quali siano i “molti Paesi” – almeno dei 28 dell’Unione Europea - nei quali sarebbe <<vietato il loro commercio e la loro detenzione>>.

Per concludere, essendoci un serio rischio, nel caso in cui il Piano Lupo fosse definitivamente approvato, che queste due razze di cani (non si capisce il motivo per cui il Cane Lupo Italiano non rientri nel documento) possano subire un grave danno anche informativo e di interpretazione etologica, auspico che i Club di razza prendano seri provvedimenti al fine di tutelare le razze impropriamente descritte in questo documento.
Una volta che il “Piano di conservazione e gestione del lupo in Italia” sarà decaduto, dovremmo chiederci cosa ne faremo di questi esperti, dei loro affiliati e dei loro collaboratori.
Li lasceremo agire indisturbati su altri fronti? Continueremo a sostenerli con fondi pubblici?
A voi, cari lettori, le opportune risposte.


Claudio Mangini


giovedì 5 gennaio 2017

Nuovo uomo, nuovo cane: istruzioni per l'uso






Ciò che affligge i cani moderni non è altro che una delle conseguenze evolutive di più comuni  fattori antropici.
Morte le campagne, abbandonata l’agricoltura tradizionale, e quasi del tutto estinta la  ruralità, ecco l’entrata in scena del “nuovo cane”, accanto al suo “nuovo uomo”: quello che è capace di andare su Marte, lasciando però a casa i suoi problemi irrisolti, le guerre, la fame, l’odio, le divisioni, le religioni belligeranti, le dittature e lo sterminio.
Niente più guardia agli armenti, niente più caccia per sopravvivere, niente più conduzione di pecore, niente più slitte da trainare. Niente più di niente; se non di quel moto in cui faticosamente arranchiamo nella corsa al ribasso della vita.
L’occhio al passato è tappato come quello di Moshe Dayan o di Capitan Uncino, per far finta di non vedere, o vedere a metà. Fosse mai che qualcuno giudicasse la non aderenza al nuovo sistema.
La paura del giudizio equivale all’impersonalità.
Quei cani d’un tempo non avevano bisogno di bocconcini per essere centrati sui pastori, non avevano bisogno di mangiare vegano andando contro ogni buon senso, né di copertine per avere una “base sicura”. Non avevano bisogno di un kong per ottenere delle competenze, né di una pettorina o di un guinzaglio per seguire i loro proprietari.
Non avevano bisogno di Prozac perché non conoscevano l’ansia, né la nuova depressione decisa dal marketing moderno, e non avevano bisogno delle classi di comunicazione per imparare a stare con gli altri.
Chi sostiene che quei cani fossero sfortunati, significa che non ha mai vissuto. E chi non ha mai vissuto, non ha diritto di parola.




Eppure, qualcosa di quel mondo poco lontano sopravvive. Da qualche parte, là tra gli appennini, o in una vecchia cascina che ancora parla il dialetto locale e rifugge il linguaggio pseudo-accademico della new age cinofila, fatta di copia/incolla con lo sputo e citazioni estrapolate nemmeno per intero.
Non ho un Iphone e non ho un telefono con le applicazioni. Non ho un sito che mi identifichi tra quegli “Uno, nessuno e centomila”. Me ne fotto del sistema e del superfluo tecnologico. A volte anche di me stesso.
Torno sui miei monti, tra la mia gente e la mitopoiesi della Sibilla; la stessa da cui l’arroganza culturale ha preso le distanze.
La Sibilla: l’unica forza che mi portò qui senza che ne conoscessi all’epoca il valore, né il motivo; ma alla quale detti poi un senso profondo e compiuto che andava ben oltre la mitopoiesi.



Porterò con me i cani, forse gli unici esseri viventi in grado di capire l’accettazione di un assunto che diventa evergreen ogni volta che si parla di loro.
<<La vita in montagna è dura>> disse un anziano vedendomi affaccendato nel trasloco.
Mentre tutti se ne andavano, voltando le spalle a quell’amnios avvolgente che ogni sangue porta in se, io arrivavo per rinascere.
D’altra parte mi aveva già rodato la Maremma; quella amara, della fatica e da coltivare.
Quella che ti leva il sangue e provoca sudore. Quella delle zanzare, delle bestemmie e dei tafani, ma anche quella delle chiavi nella porta che invitavano il disatteso ad entrare senza remore.



Sono stufo del pietismo dilagante quando si parla di cani, di chi crede che l’uomo sia ossessionato dall’obbedienza e dal controllo, quando i numeri parlano da soli: milioni di cani in Italia che fanno semplice compagnia contro una percentuale che non supera l’uno per mille di chi li vede ancora ausiliari di un qualcosa che è stato sconfitto.
Sconfitto chi? E da chi?
Da un gigante chiamato denaro e dalla sorella – circonvenzione di incapaci -  mentre i cinofili erano lì a ridere con la fionda giocattolo sperando di strappare un David di Michelangelo alla storia.
Siamo sicuri?
No.
Chi è stato sconfitto è quel cane di un tempo; il cane stesso.



Sconfitto da chi inneggia allo sterminio del genere umano guardandosi bene di fare harakiri per primo.
Sconfitto da un mondo che paradossalmente proprio oggi, più che mai, orbita intorno all’uomo, profondamente diverso da quello di un tempo recente in cui l’uomo ne faceva solo parte.
E lo si vede ancora oggi dopo che il terremoto ha raso al suolo interi villaggi lasciando i fantasmi a banchettare tra loro.
Lì (qui) c’è la voglia di ricominciare, ma di starsene per i fatti propri. Esattamente come me.

Quindi, cari allevatori di cani, il problema è solamente vostro.
Dovete produrre animali senza anima antica, senza carattere, senza bisogni se non quelli di ammazzare la solitudine umana, e con caratteristiche definite oggi – e solo oggi – “lecite”. Possibilmente in scala pantone, cosicché possano fare  pendant con l’arredamento dei vostri nuovi clienti.
Quel cane di un tempo non è più desiderato. E’ sgradito.
Sgradito il suo latrato, il suo abbaio, il suo bisogno costante di stare al fianco dell’uomo. Sgradito il suo temperamento e ogni sua vocazione elettiva.
Se potete, selezionateli senza l’organo di Jacobson, così scomodo a chi produce diplomi sulla base delle posture e della vista canina. E, fra che ci siete, eliminate anche quelle fastidiose vibrisse ed il pelo lungo che mal si sposa con i cappottini à la page.



Chi doveva portare luce, ha portato smarrimento, confusione. E quindi specializzatevi secondo le direttive antropocentriche di quelli che inneggiano all’anti antropocentrismo. Ma solo a quelle!
Create spazi per la libertà dei cani trovando un accordo con le Istituzioni, perché oggi la libertà di questi animali non è rappresentata dallo stare insieme all’uomo e collaborare con lui, ma da un Regno Anarchico dove l’ozio e le minzioni rappresentano il massimo dell’intellettualità canina.
E fuggite dal passato: annientatelo.

Datevi da fare allevatori: il nuovo uomo ha bisogno di un nuovo cane da postare su facebook.
Fatevi i selfie, sputate su Lewin, su Lorenz, sull’etologia e sulle scienze sociali. Sputate pure su Jung, su Murrell e su tutto ciò che antecede l’epoca dei social e della web economy.



Non c’è transumanza senza tratturo, così come non c’è pastore senza cane, gregge senza pecore, cibo senza agricoltura.
Tutto è intensivo, perfino i pensieri, fabbricati in batteria per i polli del terzo millennio che consumano dogmi con la voracità di una locusta, senza guardare in faccia nessuno. Meno che mai la fronte del tempo che baceranno ispirandosi a Giuda Iscariota.
L’uomo evoluto ha bisogno della donna evoluta, della famiglia evoluta, e di figli evoluti.
Il cane non fa eccezione: se vuole stare al passo di questa evoluzione, deve evolversi anche lui, ma questa volta con l’assenso del nuovo Verbo, altrimenti il giudizio ricadrà sulle povere anime alle quali Caronte stesso non potrà fare fronte.
Al di qua, solo l'oblio.

Qui c’è chiasso, il mio cane riposa.
Nel mare c’è silenzio: prima o poi toccherà anche al mare.







Claudio Mangini