giovedì 18 agosto 2016

Il caso di Mascalucia




Nonostante mi sia stato chiesto un parere in molti post e mail private, non me la sono sentita di dire la mia sui fatti di Mascalucia; e non lo faccio nemmeno in questa sede.
Questione di rispetto e cordoglio per quel bambino di appena un anno e mezzo che c’ha rimesso la vita; perdonatemi.
In ogni caso, ci hanno pensato molti sciacalli. Gente che per uscire dall’anonimato o mero egocentrismo, è stata capace di dirne di tutti i colori, sciorinando riflessioni pseudo-professionali, consigli da pseudo-esperti e fallocentrismi come se non ci fosse un domani.

Su tutti, mi ha colpito l’articolo apparso su “Il Giornale”, a firma del medico veterinario dott. Oscar Grazioli (Clicca per leggere l'articolo)

Personalmente parto da un presupposto: quando i medici veterinari parlano di “comportamento animale” sono costretto a tapparmi le orecchie per non sentire le amenità che dicono (d'altra parte hanno studiato sugli animali da reddito, quali pecore, mucche, etc, e non certo il comportamento, ma la parte clinica).
Quando invece – non contenti - le scrivono pure su una testata giornalistica di quella portata, mi viene in mente la famosa frase di Lao Tze <<Fa più rumore un albero che cade di una foresta che cresce>>.
Ma poi per cosa?
Per avere qualche “like” in più sui social, o sperare di ottenere una certa referenzialità attraverso la quale riempire le tasche?
Nell’articolo il dott. Grazioli parla del Dogo Argentino come di un “cane impiegato nella caccia ai puma”.
Certo, c’è scritto su Wikipedia e nella storia della razza…

Ma torniamo un attimo alla realtà. Quella di oggi, e quella italiana.

Noi animal trainer disponiamo di puma e di cinghiali: facciamo la prova? Mettiamo un dogo argentino dentro un recinto contro un puma affamato o che si sta difendendo per vedere se è vero quello che sostiene il dott. Grazioli?
Mi chiedo – nel caso - quanti siano i fessi a puntare tutto quello che hanno sul povero Dogo Argentino, ma soprattutto mi chiedo quando la finiremo con questo fallocentrismo da quattro soldi operato sulla pelle dei cani.

Ma veniamo all’articolo.
Riferendosi al Dogo Argentino, il dott. Grazioli scrive: 

<<..soprattutto per razze che hanno ancestrali attitudini alla difesa e all'attacco>>

Da professionista del comportamento, vorrei ricordare al medico veterinario che tutti i cani – dal Chihuahua all’Alaskan Malamute - hanno attitudine alla difesa e all’attacco, e che la letteratura scientifica in proposito è vastissima, rientrando questi comportamenti nell’etogramma del cane.

Non contento, né cosciente dell’inesattezza che ha scritto, il dott. Grazioli se la prende addirittura con il Mondioring:

<<Quanto al divieto di addestrare in modo aggressivo, basta andare a vedere lo squallore delle prove di morso, obbligatorie nella disciplina del Mondioring (sotto l'egida dell'Enci, l'ente nazionale per la cinofilia)>>




Anche in questo caso il dott. Grazioli dimostra di non conoscere il mondo dei cani, né quello sportivo, perché se c’è una cosa che proprio nel Mondioring viene penalizzata, con tanto di ritiro del libretto gare e squalifica a vita, è l’aggressività del cane o il “non sotto controllo”; esattamente come la mancanza di docilità e di equilibrio (ricordo che il Mondioring – come altre discipline – ha finalità selettive).
Ecco perché pochi cani possono permettersi il lusso di farlo; difficoltà attitudinali/addestrative e atletiche a parte.
Fra che ci sono vorrei ricordare al dott. Grazioli che nessun cane del Mondioring si è mai macchiato di episodi del genere, così come vorrei fargli notare che non è possibile “addestrare” il cane – nel senso stretto del termine - all’aggressività.
Pur essendo considerata l’aggressività una “dote” che permette la sopravvivenza, nel caso di aggressioni verso l’uomo si può parlare spesso solo di “indocilità”; non di “aggressività”. Pertanto una mera questione zootecnica (questa sconosciuta).

A chiusura d’articolo, sempre riferendosi al Mondioring, insiste con questa “perla”:

<<evitare del tutto il contatto dei bambini con razze addestrate a difesa e attacco>>

In ogni campo di Mondioring – proprio per l’equilibrio e l’addestramento che hanno questi cani – i bambini ci sono, eccome, senza che peraltro sia mai successo nulla.
Farsi due domande e darsi le risposte? No?

Ma le “perle” non finiscono certo qui:

<< Ma perché proprio i bimbi? Perché parlano una lingua completamente diversa da quella dei cani, spesso interpretata come fastidiosa se non addirittura ostile…>>

Certo: gli adulti - invece - la parlano eccome la lingua dei cani; come no. A partire da Turid Rugaas e tanti altri; forse gli stessi autori che ha preferito rispetto a quelli delle scienze sociali ed etologiche.
Di fatto, i bambini hanno spesso atteggiamenti che possono apparire minacciosi agli occhi dei cani, ma questo per un problema culturale umano, da una parte, e di abituazione o meno agli stimoli nel cane, dall’altra.
C'è una sola terapia di contrasto e di prevenzione in questo caso: il buon senso degli adulti.

 <<un bimbo, magari vestito in modo sgargiante…>>

Vorrei ricordare al dott. Grazioli che il cane è un animale ad “orientamento olfattivo”, non visivo; e che la sua vista è molto diversa dalla nostra.

Per fare un esempio, il cane non distingue il colore rosso – giusto per citare un colore “sgargiante”.


Dopo aver letto ciò, credo che adesso sia più chiaro il motivo per cui personalmente sia contrario alla proposta di istituire un “patentino di detenzione” in Italia.

Il dott. Grazioli potrebbe essere uno dei docenti, oppure uno degli esaminatori; e considerato l’articolo a sua firma, nel quale si evincono falle culturali piuttosto evidenti, posso solo immaginare la qualità e l'affidabilità del patentino stesso.

Per concludere, mi auguro che l’ENCI, la FCI e – soprattutto - i responsabili del Mondioring italiano si facciano sentire nelle Sedi opportune; anche chiedendo l’intervento dell’Ordine dei Medici Veterinari competente, per la gravità delle affermazioni riportate nell’articolo, le quali non dipingono certo in modo serio e professionale la razza, né la disciplina sportiva chiamata in causa.


Claudio Mangini