Nonostante mi sia stato chiesto un parere in molti post e
mail private, non me la sono sentita di dire la mia sui fatti di Mascalucia; e
non lo faccio nemmeno in questa sede.
Questione di rispetto e cordoglio per quel bambino di appena
un anno e mezzo che c’ha rimesso la vita; perdonatemi.
In ogni caso, ci hanno pensato molti sciacalli. Gente che
per uscire dall’anonimato o mero egocentrismo, è stata capace di dirne di tutti i
colori, sciorinando riflessioni pseudo-professionali, consigli da
pseudo-esperti e fallocentrismi come se non ci fosse un domani.
Su tutti, mi ha colpito l’articolo apparso su “Il Giornale”,
a firma del medico veterinario dott. Oscar Grazioli (Clicca per leggere l'articolo)
Personalmente parto da un presupposto: quando i medici
veterinari parlano di “comportamento animale” sono costretto a tapparmi le orecchie per non
sentire le amenità che dicono (d'altra parte hanno studiato sugli animali da reddito, quali pecore, mucche, etc, e non certo il comportamento, ma la parte clinica).
Quando invece – non contenti - le scrivono pure
su una testata giornalistica di quella portata, mi viene in mente la famosa
frase di Lao Tze <<Fa più rumore un albero che cade di una foresta che
cresce>>.
Ma poi per cosa?
Per avere qualche “like” in più sui social, o sperare di
ottenere una certa referenzialità attraverso la quale riempire le tasche?
Nell’articolo il dott. Grazioli parla del Dogo Argentino
come di un “cane impiegato nella caccia ai puma”.
Certo, c’è scritto su Wikipedia e nella storia della razza…
Ma torniamo un attimo alla realtà. Quella di oggi, e quella
italiana.
Noi animal trainer disponiamo di puma e di cinghiali:
facciamo la prova? Mettiamo un dogo argentino dentro un recinto contro un puma
affamato o che si sta difendendo per vedere se è vero quello che sostiene il
dott. Grazioli?
Mi chiedo – nel caso - quanti siano i fessi a puntare tutto
quello che hanno sul povero Dogo Argentino, ma soprattutto mi chiedo quando la
finiremo con questo fallocentrismo da quattro soldi operato sulla pelle dei cani.
Ma veniamo all’articolo.
Riferendosi al Dogo Argentino, il dott. Grazioli scrive:
<<..soprattutto
per razze che hanno ancestrali attitudini alla difesa e all'attacco>>
Da professionista del comportamento, vorrei ricordare al medico
veterinario che tutti i cani – dal Chihuahua all’Alaskan Malamute - hanno
attitudine alla difesa e all’attacco, e che la letteratura scientifica in
proposito è vastissima, rientrando questi comportamenti nell’etogramma del
cane.
Non contento, né cosciente dell’inesattezza che ha scritto, il
dott. Grazioli se la prende addirittura con il Mondioring:
<<Quanto al divieto di addestrare in modo aggressivo, basta
andare a vedere lo squallore delle prove di morso, obbligatorie nella
disciplina del Mondioring (sotto l'egida dell'Enci, l'ente nazionale per la
cinofilia)>>
Anche in questo caso il dott. Grazioli dimostra di non
conoscere il mondo dei cani, né quello sportivo, perché se c’è una cosa che
proprio nel Mondioring viene penalizzata, con tanto di ritiro del libretto gare e
squalifica a vita, è l’aggressività del cane o il “non sotto controllo”; esattamente
come la mancanza di docilità e di equilibrio (ricordo che il Mondioring – come altre
discipline – ha finalità selettive).
Ecco perché pochi cani possono permettersi il lusso di
farlo; difficoltà attitudinali/addestrative e atletiche a parte.
Fra che ci sono vorrei ricordare al dott. Grazioli che nessun
cane del Mondioring si è mai macchiato di episodi del genere, così come vorrei
fargli notare che non è possibile “addestrare” il cane – nel senso stretto del
termine - all’aggressività.
Pur essendo considerata l’aggressività una “dote” che
permette la sopravvivenza, nel caso di aggressioni verso l’uomo si può parlare
spesso solo di “indocilità”; non di “aggressività”. Pertanto una mera questione
zootecnica (questa sconosciuta).
A chiusura d’articolo, sempre riferendosi al Mondioring, insiste con questa “perla”:
<<evitare del tutto il contatto dei bambini con razze
addestrate a difesa e attacco>>
In ogni campo di Mondioring – proprio per l’equilibrio e l’addestramento
che hanno questi cani – i bambini ci sono, eccome, senza che peraltro sia mai
successo nulla.
Farsi due domande e darsi le risposte? No?
Ma le “perle” non finiscono certo qui:
<< Ma perché proprio i bimbi? Perché parlano una
lingua completamente diversa da quella dei cani, spesso interpretata come
fastidiosa se non addirittura ostile…>>
Certo: gli adulti - invece - la parlano eccome la lingua dei cani; come
no. A partire da Turid Rugaas e tanti altri; forse gli stessi autori che ha preferito rispetto a quelli delle scienze sociali ed etologiche.
Di fatto, i bambini hanno spesso atteggiamenti che possono apparire
minacciosi agli occhi dei cani, ma questo per un problema culturale umano, da
una parte, e di abituazione o meno agli stimoli nel cane, dall’altra.
C'è una sola terapia di contrasto e di prevenzione in questo caso: il buon senso degli adulti.
Vorrei ricordare al dott. Grazioli che il cane è un animale
ad “orientamento olfattivo”, non visivo; e che la sua vista è molto diversa dalla
nostra.
Per fare un esempio, il cane non distingue il colore rosso –
giusto per citare un colore “sgargiante”.
Dopo aver letto ciò, credo che adesso sia più chiaro il
motivo per cui personalmente sia contrario alla proposta di istituire un “patentino
di detenzione” in Italia.
Il dott. Grazioli potrebbe essere uno dei docenti, oppure
uno degli esaminatori; e considerato l’articolo a sua firma, nel quale si
evincono falle culturali piuttosto evidenti, posso solo immaginare la qualità e l'affidabilità del patentino stesso.
Claudio Mangini