Premessa
C’è
chi sostiene che questa introduzione sia un manifesto. C’è chi la vede come una
Stele di Rosetta del linguaggio
canino, ma in realtà queste pagine sono solo un accenno del libro di etologia
del cane “La chiave perduta” (“The hidden key”), scritta e pubblicata affinché
i lettori possano prendere confidenza in modo esclusivo con qualcosa di
estremamente nuovo nel panorama della comunicazione canina. Un tema già di per
sé oggetto dei miei seminari nel biennio trascorso, questo saggio vuole
preparare gli appassionati alla successiva e più ampia trattazione di vari
argomenti collegati, oltre che essere uno strumento particolarmente efficacie
per cominciare a comprendere il linguaggio dei cani sotto una luce diversa, sia
sul fronte intraspecifico che interspecifico. Una chiave di lettura insolita,
nata da un’intuizione del 1992 che ha attraversato la mia vita e che ho tentato
in ogni modo di custodire gelosamente, ma che attraverso queste pagine vuole anche
dare seguito ad un profondo senso di riconoscenza verso il mio maestro Paolo
Villani. Fu proprio lui a dirmi «La tua carriera sarà lunga e fortunata, ma arriverà
un giorno in cui dovrai restituire ai cani ciò che loro ti avranno dato». Per
tutto questo, però, ci voleva tempo. E ci volevano le spalle grosse. La
cinofilia italiana andava degradandosi quando ritenni che quel tempo fosse
arrivato, e ciò mi mise nell’aspettativa che appartiene a coloro i quali
attendono l’evolversi delle cose o un futuro migliore. Dopo “Parlare da cani,
storia di una relazione” era prevista l’uscita del libro sulla Cinometria
Caratteriale e poi quello riguardante il Meccanismo dei Cani Tutor, due
applicazioni che nacquero grazie alla scoperta di quanto mi appresto a
scrivere, ma all’epoca ritenni, e non sbagliai, che i tempi non fossero ancora
maturi. Le pagine che seguono sono pertanto il frutto di un segreto personale
ben custodito che ha attraversato un trentennio della mia vita, portandomi ad
interpretare il linguaggio dei cani secondo una modalità che nessuno studioso
aveva mai preso in considerazione: la cinetica del movimento.
Aprire
una strada a nuove ricerche presuppone il fatto che si debba mettere almeno un
punto di partenza, ed è questo lo scopo principale del libro, il quale mi piace
definirlo come una vera e propria esposizione, un trattato, come nella migliore
tradizione etologica dei tempi che furono.
Oggi
i cani sono “bimbi pelosi”, non più una specie animale tra le altre. I
proprietari si definiscono con orgoglio “babbini” e “mammine”, sempre meno
conduttori e sempre più divulgatori del sentire di pancia, sorretti e
“istituzionalizzati” da improbabili Guru corrotti dal più bieco antropomorfismo
che ben si presta ad ingurgitare avidamente ingenti somme di denaro, e ciò mi porta
a pensare che questo scritto non abbia in realtà un preciso target di
riferimento, ma che si proponga come elemento trasversale per chi vuole
scoprire e conoscere, più che vedere a grandi linee qualcosa.
Valeria
Rossi, nella prefazione del mio primo libro, scrisse «…quella che ritengo la
più importante scoperta e l’unica vera innovazione che il mondo cinofilo abbia
visto negli ultimi trent’anni, e cioè il Meccanismo dei Cani Tutor», fotografando
al contempo una criticità del settore rimasto fermo, mancante di nuovi spunti e
tecniche volte a capire qualcosa di più sul comportamento dei cani.
In
queste pagine viene raccontata una scoperta che anticipava di quasi trent’anni
la tecnologia messa a disposizione a Marc Bekoff e l’idea di non antropocentrico del documentarista
sovietico Viktor Kossakovsky (prodotto da Joaquin Phoenix, nda), che non solo permise la nascita del Meccanismo dei Cani Tutor e della cinometria caratteriale, ma aprì una strada ancora in parte da esplorare, almeno sotto il profilo sperimentale.
Negli
ultimi anni c’è stato un significativo aumento d’interesse nei confronti del
comportamento animale. I fattori che hanno influenzato questo trend sono
molteplici, seppure siano quasi tutti riconducibili alla logica della
domanda-offerta, ma la divulgazione scientifica, così come la divulgazione in
genere, necessita di un linguaggio quanto più semplice possibile per arrivare a
tutti. È sotto questo pensiero che ho cominciato a scrivere il saggio,
inserendo nelle appendici finali alcuni approfondimenti affinché il lettore non
resti spiazzato dai termini accademici o da concetti che meriterebbero una discettazione
a parte.
Qualcuno
si chiederà, e a buona ragione, il motivo per cui venga pubblicata
un’introduzione e non direttamente il libro “La chiave perduta” (“The hidden
key”), ma tutto ciò è motivato dall’esigenza di restare sul tema della ri-scoperta, vista la sua complessità. Il
fatto che negli ultimi vent’anni la zoosemiotica sia stata usata
impropriamente, più con supposizioni e impressioni personali che non attraverso
il rigore delle ricerche sperimentali, obbliga in qualche modo a mantenere il
focus senza farsi distrarre da concetti collaterali. Pensare che un cane
comunichi esponendo il suo lato destro ed il suo lato sinistro, unitamente ai
vari modeling che sono stati classificati, non è facile per chi, fino ad oggi,
è stato abituato a vedere i segnali del cane in qualità di calmanti e non come veri e propri segni facenti parte di un flusso comunicativo molto articolato
basato su tutt’altri presupposti. Basta attingere alla rete internet e dare
un’occhiata alle osservazioni descritte nelle didascalie dei tantissimi video
in cui la protagonista è l’interazione intraspecifica per avere un’idea della
diversità di opinioni tra i professionisti, la stessa che denota la mancanza di
unanimità in merito alla comprensione del linguaggio e del comportamento canino.
Tutto questo si è inevitabilmente riversato sul comparto formativo che ha visto
la frammentazione didattica e la nascita delle più disparate linee di pensiero che,
nell’economia generale del cane e a conti fatti, non hanno dato alcun
significativo contributo alle scoperte sul linguaggio o sul comportamento
animale.
Ho
sempre pensato che la conoscenza del linguaggio di una qualunque specie fosse
determinante per comprendere il reale significato del suo comportamento, del
suo ruolo, del suo sistema di status, della sua psicologia e della sua
soggettività, soprattutto in questo periodo storico nel quale è possibile
attingere ad una vastissima letteratura scientifica prodotta dalle neuroscienze
e dall’ecologia comportamentale. Gli addetti ai lavori parlano di “posture”
quando descrivono, ad esempio, un comportamento agonistico, ma spesso cadono
nell’insidiosa trappola dell’antropomorfismo perché, di fatto, i comportamenti
che vengono elencati sono gli stessi che osservarono a suo tempo Darwin,
Lorenz, Trumler, Fox ed alcuni altri, i quali si concentrarono sulle linee
generali, su quanto l’occhio umano poteva osservare, senza centrare però pienamente
il focus e senza avere a disposizione la tecnologia moderna. Per fare un
esempio, il punto non è osservare il sollevamento della zampa anteriore di una
cane ascrivendolo genericamente ad un segnale, ma quale delle due viene alzata e, soprattutto, il feedback che produce
in centinaia di soggetti, nei contesti più diversi. Lo stesso vale per il
ringhio, per l’abbaio, per la piloerezione (orripilazione) che, nella maggior parte dei casi,
sono segnali attribuibili al fenomeno della ridondanza, non segnali principali
o di primo livello. Pur avendolo fatto in modo rigoroso, non mi è mai bastato studiare
i media (infosfera e semiosfera), i significati (pragmatica) ed i segni (zoosemiotica), ma avevo bisogno di
capire il perché di un certo tipo di comunicazione. Se il media rappresenta il dove, il mezzo, con cui comunica il cane, i
segni emessi rappresentano il come, allo stesso modo con cui il messaggio rappresenta
e racchiude il significato. Mi riferisco a tutto questo per sottolineare la
necessità personale di dare una classificazione più precisa, per esempio, dei
vari comportamenti affiliativi o di coesione, così come dovevo avere ben chiara
la differenza tra la “dominanza sociale” ed il “presidio della distorsione
comunicativa”, tra la timidezza e l’introversione, andando ben al di là
dell’impressione personale e del luogo comune purtroppo ancora presente nelle valutazioni
comportamentali. In sostanza, mi interessava capire cosa il cane affidasse alla comunicazione, e nella scoperta
dell’esposizione del lato avevo trovato la chiave che mi permetteva di
esplorare un mondo dentro al quale si evidenziavano una serie di riposte
convincenti.
Questa
introduzione non poteva dunque essere inserita in un libro di etologia generale
della comunicazione canina quale è “La chiave perduta”, ma necessitava di una
trattazione a sé che portasse l’attenzione su dinamiche comunicative mai
proposte al grande pubblico, se non attraverso alcuni seminari e ai miei collaboratori
più stretti.
Con
la speranza che queste pagine, svincolate ormai dal bisogno di tutela personale
garantito dalla presente pubblicazione, possano aprire un fronte di ricerca
specifico ancora più sostenuto di quanto non lo sia già, ringrazio il Prof.
Giorgio Vallortigara (Università di Trento – Animal Cognition and Neuroscience
Laboratory), il Prof. Bruno Stefanon (Università di Udine - Dipartimento di
Scienze Agroalimentari, Ambientali e Animali), Elisabetta Pedrocco,
Massimiliana Varnier, Johannes Weibl e Francesca Genghini per il lavoro svolto
in sede di ricerca sperimentale.
Il
titolo di questo libro nasce da un’idea della dott.ssa Simonetta Losi che
ringrazio con tutto il cuore.
Claudio Mangini
© 2021 Claudio Mangini
Titolo dell’opera: “Introduzione a the hidden key”
Edizione italiana © 2021 ERA Edizioni
ISBN volume 978-88-946374-0-3