C'è molta confusione sul termine docilità, e alcuni lettori mi hanno chiesto di fare chiarezza su questo termine.
“Docile” deriva dal latino docilis, che nasce dal verbo docere,
che significa insegnare.
Se però volessimo cercare il termine ammaestrabile nell’etimologia latina, troveremo docilem (NB: il termine docente è sempre un derivato di docere). Pertanto docile e ammaestrabile fanno parte della stessa etimologia, e quindi, hanno un significato simile; a tratti identico.
Come ci riferisce l’Accademia della Crusca, il termine
docile nasce da una antica concezione di insegnamento, secondo cui insegnare
significa “dare una forma prestabilita allo studente”, il quale è tanto più
bravo quanto più è ubbidiente e disposto ad imparare ciò che l’insegnate
ritiene importante insegnargli. Il focus del termine indica pertanto l’obbedienza e la disponibilità ad imparare senza battere ciglio.
Nel tempo il termine ha preso varie forme ed indirizzi
che però lasciano inalterato il significato originale, cioè “tutto ciò che si
conforma con sollecitudine alla volontà di chi lo guida” (vedi il cavallo
docile che si lascia condurre senza opporre resistenza), ma al giorno d’oggi
nessuno si sognerebbe di dire "uno studente docile" (come veniva usato un
tempo), ma viene sostituito da un più garbato – e adatto ai tempi – “studente
brillante”.
Se andiamo nei manuali cinofili del secolo scorso troviamo
questa definizione di docilità: "la predisposizione ad accettare l'uomo come
superiore gerarchico".
Piero Scanziani, nel suo "Il cane utile" declina in questo modo la docilità:
In questa definizione c’è però solo l’eco del termine
latino docilis, perché la parola
prende un connotato sociale, in cui l’essere umano esprime dominanza sul cane.
Se leggete bene le etimologie, l’aggressività non trova
alcuno spazio, se non in maniera celata ("senza opporre resistenza") e poco
significativa. L’animale, cane o cavallo che sia, gioca dunque un ruolo passivo
a vari livelli.
In quest'altra definizione, la più storica, si legge: "la disponibilità ad inserirsi nella comunità uomo-cane e riconoscere la superiorità del compagno di branco umano, cioè di obbedire e rispondere in modo socievole ai suoi segnali acustici e visivi".
Se prendiamo il termine mansueto, lo troviamo con il
significato di docile, addomesticato, paziente; tre caratteristiche abbastanza
diverse secondo i dettami dell’etologia classica. La mansuetudine è
infatti (CIT) “l’inclinazione ad accettare l'altrui volontà, o a soddisfare le
altrui richieste ed esigenze, con mitezza o docilità, cui può accompagnarsi un
aspetto di composta dolcezza”. In poche parole, si tratta della stessa definzione data da Piero Scanziani.
Mansuetudine deriva dalla voce dotta (le voci dotte sono
quelle di derivazione latina, contrapposte a quelle della cultura/lingua
popolare/ereditarie) del verbo mansuescere,
composto da manus e da suescere che significa letteralmente
“abituare alla mano”; una mano che domina, che guida, che tira, che chiama; rappresentante di una volontà che controlla, che possiede. Non stupisce quindi
che il mansueto sia l’addomesticato, cioè l’animale che si fa accarezzare ed
ubbidisce.
Come vedete, nelle varie etimologie si richiama sempre
l’insegnamento, che però slitta nell’obbedienza, nella dominanza e nel
controllo. Forse un po’ troppa roba per un solo termine (docilità), il quale
insiste nei vari termini.
Nella Cinometria Caratteriale tutte queste cose vengono divise e messe al loro posto, proprio perché non è possibile fare un unicum di un numero così elevato di caratteristiche. D’altra parte la cinofilia non è la disciplina che si occupa di comportamento animale, ma di addestramento e di esaltazione delle doti selezionate nelle varie razze (zootecnia).
Essendo la docilità il collante semantico che unisce i
termini mansuetudine e insegnamento, ed essendo la mansuetudine il contrario
del termine aggressività, nella Cinometria Caratteriale la docilità è quella
dote che possiede un animale domestico (a differenza del selvatico) che gli permette
di collaborare con l’uomo in modo spontaneo e naturale senza opporre
resistenza.
La collaborazione, e quindi l’inclinazione a collaborare
naturalmente con l’essere umano sulla base delle predisposizioni di razza,
viene dunque svincolata dal concetto di docilità e incasellata in maniera
specifica tra le varie dotazioni del cane, contrapponendosi alla caratteristica
individualista di alcuni soggetti (generalmente il 20% della popolazione
canina).
D’altra parte sia gli individualisti che i collaborativi
apprendono, ma lo fanno in modo differente, e ciò vale anche per le capacità di problem solving. Ed è qui che entra in ballo lo
studio del comportamento.
Ma di più: i gradi di collaborazione sono rappresentati
in una scala, così come quelli descritti dall’individualismo del soggetto, con
un range cinometrico caratteriale ideale (l’area vede) entro il quale stare o
riportare il cane.
Due esempi
Il mio cane “Rigo” (Cane Lupino del Gigante) non era indocile, ma individualista, e non è una
differenza da poco. Seguiva “Tempesta” (Pastore Maremmano Abruzzese) come un’ombra in quanto gregario (una specie di scudiero del Re), ma esprimeva il suo
individualismo anche nell’ambito intraspecifico in vari modi. Apprendeva come
tutti gli altri, ma aveva capacità individuali di problem solving che potevano
essere utili al gruppo (specializzazioni e specificità).
("Rigo" e "Tempesta")
Al contrario, “Balto” (Mix Terrier di origine statunitense) era un cane indocile (opponeva
resistenza verso gli estranei e verso alcuni componenti della famiglia
esprimendo molta aggressività), ma dotato di una eccellente collaboratività e
addestrabilità.
("Balto")
Dunque, due cani e due smentite riguardo l’idea di docilità per come ci viene presentata dalla cinofilia tradizionale, la quale trova certamente le sue ragioni nell’etimologia, ma non nella semantica generale, né nella pratica. D'altra parte, se ci pensate, nei test di docilità si verifica l'assoluta mancanza di aggressività davanti alla somministrazione di stimoli avversativi e tattili, e quindi mi chiedo cosa c'entri in tutto questo la collaborazione.
Di fatto, la Cinometria Caratteriale ha cambiato radicalmente la
visione delle caratteristiche canine, inserendole in una chiave psicologica
specie-specifica senza peraltro annullare le doti genetiche selezionate nelle
varie razze, tenendo perdipiù conto del genere (maschio/femmina), del concetto di
estroversione e di introversione, e dei tratti cardinali.
Tutte queste caratteristiche intervengono nell'approccio
che diventa così unico e soggettivo.
Per fare un esempio, un pastore tedesco introverso destro
viene considerato dalla cinofilia tradizionale indocile e inadatto per l'IGP, e finirebbe in un serraglio a
vita o affidato a terzi. La Cinometria Caratteriale ci insegna però che si può
alzare il grado di introversione verso il punto zero, e ottimizzare le tecniche
addestrative interpretando il soggetto semplicemente come "destro", quindi come
individualista. I risultati arriverebbero ugualmente, ma grazie ad un approccio
diverso.
Claudio