martedì 5 novembre 2024

Cos'è la docilità nel cane?

 

C'è molta confusione sul termine docilità, e alcuni lettori mi hanno chiesto di fare chiarezza su questo termine.


Docile” deriva dal latino docilis, che nasce dal verbo docere, che significa insegnare.

Se però volessimo cercare il termine ammaestrabile nell’etimologia latina, troveremo docilem (NB: il termine docente è sempre un derivato di docere). Pertanto docile e ammaestrabile fanno parte della stessa etimologia, e quindi, hanno un significato simile; a tratti identico.

Come ci riferisce l’Accademia della Crusca, il termine docile nasce da una antica concezione di insegnamento, secondo cui insegnare significa “dare una forma prestabilita allo studente”, il quale è tanto più bravo quanto più è ubbidiente e disposto ad imparare ciò che l’insegnate ritiene importante insegnargli. Il focus del termine indica pertanto l’obbedienza e la disponibilità ad imparare senza battere ciglio.

Nel tempo il termine ha preso varie forme ed indirizzi che però lasciano inalterato il significato originale, cioè “tutto ciò che si conforma con sollecitudine alla volontà di chi lo guida” (vedi il cavallo docile che si lascia condurre senza opporre resistenza), ma al giorno d’oggi nessuno si sognerebbe di dire "uno studente docile" (come veniva usato un tempo), ma viene sostituito da un più garbato – e adatto ai tempi – “studente brillante”.

Se andiamo nei manuali cinofili del secolo scorso troviamo questa definizione di docilità: "la predisposizione ad accettare l'uomo come superiore gerarchico".

Piero Scanziani, nel suo "Il cane utile" declina in questo modo la docilità:




In questa definizione c’è però solo l’eco del termine latino docilis, perché la parola prende un connotato sociale, in cui l’essere umano esprime dominanza sul cane.

Se leggete bene le etimologie, l’aggressività non trova alcuno spazio, se non in maniera celata ("senza opporre resistenza") e poco significativa. L’animale, cane o cavallo che sia, gioca dunque un ruolo passivo a vari livelli.


In quest'altra definizione, la più storica, si legge: "la disponibilità ad inserirsi nella comunità uomo-cane e riconoscere la superiorità del compagno di branco umano, cioè di obbedire e rispondere in modo socievole ai suoi segnali acustici e visivi".



(tratto dal libro "Basi caratteriali ed esame caratteriale del cane" di Eugen Seiferle e Emil Leonhardt; 1972)


Se prendiamo il termine mansueto, lo troviamo con il significato di docile, addomesticato, paziente; tre caratteristiche abbastanza diverse secondo i dettami dell’etologia classica. La mansuetudine è infatti (CIT) “l’inclinazione ad accettare l'altrui volontà, o a soddisfare le altrui richieste ed esigenze, con mitezza o docilità, cui può accompagnarsi un aspetto di composta dolcezza”. In poche parole, si tratta della stessa definzione data da Piero Scanziani.

Mansuetudine deriva dalla voce dotta (le voci dotte sono quelle di derivazione latina, contrapposte a quelle della cultura/lingua popolare/ereditarie) del verbo mansuescere, composto da manus e da suescere che significa letteralmente “abituare alla mano”; una mano che domina, che guida, che tira, che chiama; rappresentante di una volontà che controlla, che possiede. Non stupisce quindi che il mansueto sia l’addomesticato, cioè l’animale che si fa accarezzare ed ubbidisce.

Come vedete, nelle varie etimologie si richiama sempre l’insegnamento, che però slitta nell’obbedienza, nella dominanza e nel controllo. Forse un po’ troppa roba per un solo termine (docilità), il quale insiste nei vari termini.

Nella Cinometria Caratteriale tutte queste cose vengono divise e messe al loro posto, proprio perché non è possibile fare un unicum di un numero così elevato di caratteristiche. D’altra parte la cinofilia non è la disciplina che si occupa di comportamento animale, ma di addestramento e di esaltazione delle doti selezionate nelle varie razze (zootecnia).

Essendo la docilità il collante semantico che unisce i termini mansuetudine e insegnamento, ed essendo la mansuetudine il contrario del termine aggressività, nella Cinometria Caratteriale la docilità è quella dote che possiede un animale domestico (a differenza del selvatico) che gli permette di collaborare con l’uomo in modo spontaneo e naturale senza opporre resistenza.

La collaborazione, e quindi l’inclinazione a collaborare naturalmente con l’essere umano sulla base delle predisposizioni di razza, viene dunque svincolata dal concetto di docilità e incasellata in maniera specifica tra le varie dotazioni del cane, contrapponendosi alla caratteristica individualista di alcuni soggetti (generalmente il 20% della popolazione canina).

D’altra parte sia gli individualisti che i collaborativi apprendono, ma lo fanno in modo differente, e ciò vale anche per le capacità di problem solving. Ed è qui che entra in ballo lo studio del comportamento.

Ma di più: i gradi di collaborazione sono rappresentati in una scala, così come quelli descritti dall’individualismo del soggetto, con un range cinometrico caratteriale ideale (l’area vede) entro il quale stare o riportare il cane.





Due esempi

Il mio cane “Rigo” (Cane Lupino del Gigante) non era indocile, ma individualista, e non è una differenza da poco. Seguiva “Tempesta” (Pastore Maremmano Abruzzese) come un’ombra in quanto gregario (una specie di scudiero del Re), ma esprimeva il suo individualismo anche nell’ambito intraspecifico in vari modi. Apprendeva come tutti gli altri, ma aveva capacità individuali di problem solving che potevano essere utili al gruppo (specializzazioni e specificità).



("Rigo")


("Rigo" e "Tempesta")


Al contrario, “Balto” (Mix Terrier di origine statunitense) era un cane indocile (opponeva resistenza verso gli estranei e verso alcuni componenti della famiglia esprimendo molta aggressività), ma dotato di una eccellente collaboratività e addestrabilità.



("Balto")


Dunque, due cani e due smentite riguardo l’idea di docilità per come ci viene presentata dalla cinofilia tradizionale, la quale trova certamente le sue ragioni nell’etimologia, ma non nella semantica generale, né nella pratica. D'altra parte, se ci pensate, nei test di docilità si verifica l'assoluta mancanza di aggressività davanti alla somministrazione di stimoli avversativi e tattili, e quindi mi chiedo cosa c'entri in tutto questo la collaborazione.

Di fatto, la Cinometria Caratteriale ha cambiato radicalmente la visione delle caratteristiche canine, inserendole in una chiave psicologica specie-specifica senza peraltro annullare le doti genetiche selezionate nelle varie razze, tenendo perdipiù conto del genere (maschio/femmina), del concetto di estroversione e di introversione, e dei tratti cardinali.

Tutte queste caratteristiche intervengono nell'approccio che diventa così unico e soggettivo.

Per fare un esempio, un pastore tedesco introverso destro viene considerato dalla cinofilia tradizionale indocile e inadatto per l'IGP, e finirebbe in un serraglio a vita o affidato a terzi. La Cinometria Caratteriale ci insegna però che si può alzare il grado di introversione verso il punto zero, e ottimizzare le tecniche addestrative interpretando il soggetto semplicemente come "destro", quindi come individualista. I risultati arriverebbero ugualmente, ma grazie ad un approccio diverso.


Claudio 



NB: alcune parti di questo scritto sono tratte dal mio libro "Parlare da cani; storia di una relazione" (Edizioni Altea, 2013)