lunedì 24 ottobre 2016

Tutti insieme "appassionatamente"






Pensare che un cane debba per forza vivere con altri cani è profondamente sbagliato, ed ha poco a che vedere con l’etologia classica o le scienze sociali, creando al contempo un pericoloso modo di pensare l’animalità della quale ogni cane è fatto.


(foto di Sara Dentice) 

Sempre più spesso leggo di sedicenti addestratori o allevatori che fanno paralleli impropri – molto impropri – con i cani randagi, con i cani ferali, quando non addirittura con i lupi che vivono sul nostro appennino.
Su questo falso ideologico - ed etologico - sono nate le inopportune “classi di socializzazione”, e non si contano i casi arrivati negli anni da me in recupero con squilibri sociali piuttosto evidenti a causa di simili iniziative.
Quando si affronta questo tema dobbiamo partire da un presupposto: i cani randagi, come i lupi, si scelgono; non vengono aggregati forzatamente ad individui con i quali non hanno nulla a che spartire sotto il profilo familiare o relazionale.


Pur essendo animali sociali, i cani non vogliono vivere con altri cani, ma con le loro appartenenze socio-familiari, con le affinità di cui sono composti e con personalità che siano compatibili; senza contare le soggettività che spesso sono capaci – da sole - di perforare le maglie delle leggi naturali.
Il fatto che i cani siano animali molto adattativi non deve farci cadere nella trappola del pensiero antropocentrico, il quale pretende di far andare d’accordo tutti a prescindere dai più svariati  fattori filogenetici, ontogenetici, pedomorfici e attitudinali (Carta Cinometrica Caratteriale docet).


In una cinofilia moderna, sempre più proiettata verso la consapevolezza di cosa sia un Canis familiaris, sul quale peraltro insistono regole civiche di ogni ordine e grado, sarebbe auspicabile che in sede didattica si affrontassero temi di ben più ampio respiro, e non limitati al behaviourismo di vecchio stampo.




Claudio Mangini