sabato 18 giugno 2011

"Il cane molecolare"




La vicenda della povera Yara Gambirasio ha visto nascere, sotto il profilo della disinformazione cinofila, un nuovo soggetto: il “cane molecolare”.
Chiamato un tempo pistaiolo, questo cane è in realtà un Bloodhound - cane da pista di sangue – gruppo 6 E.N.C.I. Sezione 1,1 - impiegato fin dal VII secolo nell'ambito venatorio in qualità di segugio (ungulati feriti).

Per la sua costruzione morfo/funzionale è un soggetto dotato di grande resistenza e di un fiuto straordinario (complice la costruzione prismatica del cranio, i seni nasali poco sviluppati, divergenza delle linee cranio facciali e un profilo leggermente montonino), doti che gli permettono di seguire senza sforzo una pista su lunghe distanze e attraverso terreni accidentati.
Cane in grado di ricoprire più terreno in assoluto rispetto a tutti gli altri segugi, fu utilizzato in America per la ricerca degli schiavi feriti e dei galeotti evasi, in virtù della sua proverbiale ostinazione e tenacia; dote tipica di tutti i segugi.

La moderna comunicazione mediatica, però, ci ha improvvisamente abituato – in modo discutibile - ad associarlo ad un improbabile invenzione moderna con l'appellativo, appunto, di “cane molecolare”.
Ma perché il Bloodhound – chiamato più correttamente “Chien de Saint Hubert” - è stato definito in questo modo, al di là “dell'effetto wow” che la TV moderna richiede, facendo danni tali alla razza da vedermi arrivare quotidianamente e-mail in cui si richiedono indirizzi di allevamenti specifici di “cani molecolari”?
Da cosa deriva questo termine?
E' improprio?
Per rispondere seriamente a questa domanda bisogna innanzi tutto capire come è strutturato l'olfatto di un segugio (come di ogni altro cane), i suoi inneschi motivazionali riferiti alla predazione e uno studio specifico sulla ricerca definita tecnicamente “a megaolfatto” - o "microsfron" (differente dalla ricerca "a teleolfatto" - detta anche "teleosfron").
Come i biologi sanno bene, le componenti chimiche chiamate “molecolari” hanno un peso specifico maggiore e si depositano a terra, lasciando una traccia che per i Bloodhound è particolarmente interessante, al punto tale, grazie anche alle orecchie pendule che gli permettono di lavorare in “one track mind”, di concentrare un'altissima percentuale di risorse nell'esplorazione olfattiva senza che le distrazioni possano in qualche modo interferire nella ricerca.
In merito alle orecchie pendule vale però la pena ricordare - per comprendere meglio questa particolarità - che sono state così selezionate soprattutto per convogliare gli odori importanti (quelli oggetto della ricerca) al naso e non permettere che si mescolino con quelli portati dal vento.
Nell'ambito venatorio, però, queste tracce chimiche sono in realtà fresche e, soprattutto, miste.
Al sangue della preda si mescolano i processi di fermentazione microbiologica del terreno calpestato, la saliva dell'animale ferito, il suo sudore, l'eventuale sterco: un'autostrada di odori che conducono il Bloodhound al bersaglio con precisione chirurgica.
Se però questo è vero per il “Chien de Saint Hubert”, lo stesso vale anche per tutti i cani da caccia, anche se con percentuali di energie investite – e soprattutto modi - diverse tra loro.
Come ho accennato in precedenza, il "megaolfatto" e il "teleolfatto" presuppongono differenze che ogni cinofilo conosce bene (vedi "Parlare da cani, storia di una relazione" - web edition - su questo blog): mentre la ricerca in "megaolfatto" è effettuata col naso costantemente a terra, quella in "teleolfatto" è telescopica, cioè in grado di valutare la presenza e la posizione delle particelle da molto lontano, non inalando dalla pista in cui è passata la preda (o la persona), ma aspirando dal vento ciò che si trova sospeso in quantità infinitesimali.
Indubbiamente questo tipo di ricerca necessita di cani la cui conformazione del cranio preveda seni frontali ampi e canne nasali dritte, se non addirittura rivolte verso l’alto come nel caso specifico del Pointer.
Gli assi cranio facciali saranno paralleli e convergenti e tutto ciò permetterà, a seguito di profonde e rarefatte inspirazioni dell’aria, di incamerarne molta a livello dei seni nasali e incanalare una quota sufficiente di particelle che verranno poi concentrate e trasformate in stimoli elettrici.
In questo modo il cane si addentra nel cono d’odore che diventerà sempre più ristretto e intenso all’approssimarsi dello stesso all'obbiettivo della ricerca.
Per concludere, il “cane molecolare” è in realtà una suggestiva didascalia televisiva del “Chien de Saint Hubert”, e non una razza creata ad hoc da qualche scienziato moderno.
A parte questo, trovo sconcertante - come cinofilo e cittadino perdipiù facente parte delle "Unità Cinofile da Soccorso Nautico" (e quindi ascritto nella Protezione Civile della Regione Marche) - l'aspettativa ingiustificata proposta attraverso i media riguardo a questo cane.
Attraverso l'etichetta impropria (per il grande pubblico) di "cane molecolare" si è prima sovradimensionato una splendida razza senza spiegare cosa questa sia in realtà per poi screditare successivamente i volontari che hanno tentato di trovare le tracce della povera Yara.
Ogni riflessione o giudizio in merito, come sempre, la lascio ai lettori.